Come si scrive in dialetto bresciano

 

Leggere il dialetto è una cosa difficile. Scriverlo è ancora peggio, poiché è una lingua nata oralmente ed è difficile imporre regole precise e rappresentare tutte le sue sfumature sonore. So che ci sono contrasti tra i principali autori della nostra lingua natia.  Per dare una traccia a chi si vuole cimentare a scrivere il dialetto, trascrivo ora le regole stabilite da alcuni importanti pubblicazioni e autori dialettali.

Inizio a riportare quelle del vocabolario G.B.Melchiori, il principale vocabolario dialettale pubblicato nel 1817. E' sicuramente un punto di riferimento autorevole della nostra lingua, ma antico e quindi superato, pertanto questa prima versione va citata più per la sua storicità.

Non si ammette alcuna doppia consonante, come inutile, tranne in alcune poche parole, nelle quali sembra che la pronuncia necessariamente le richieda, come in emmatìs (impazzire), emmuzonàs (accigliarsi), emmulàs (incaparbire), ec.
La 
s dolce italiana verrà rappresentata dalla z come scuza (scusa), caza(casa), ec.
La 
s aspra italiana, le due z, e i due c verranno scritti con una sola s come casa (cassa), piasa(piazza), fasa (faccia), ec.
L'
u italiano sarà scritto û come tû (tuono), sûrd (sordo), sû (suono), ec.
L'
u stretto sarà scritto u come dur (duro), mur (muro), ec. Se l'u sarà in fine di parola verrà scritto ù, come vergù (alcuno), nisù (nessuno), ec.
L'
eu francese sarà scritto col dittongo latino œ, come tœt(tutto), sœt(asciutto), fœc (fuoco) cerœl (tarlo), ec. La collocazione dell'œ nell'ordine alfabetico del vocabolario è costantemente ed immediatamente dopo finita la e. [...]
L'o e l'e strette verranno segnate coll'accento acuto, come pés (pizzo), rót (rotto), fés (assai), sót (sotto), ec. ec.
L'
o e l'e aperte saranno segnate coll'accento grave come pès (pesce), lès (lesso), sòch (ceppo), còt (cotto), ec. ec.

Più recente, ma a mio parere altrettanto importante, è la pubblicazione "Melodia e Congedo" del poeta dialettale Angelo Canossi che è forse il maggiore poeta bresciano. Le "Regole di pronuncia" scritte alla fine dell'opera sono più ricche e particolareggiate, in esse spariscono strani simboli come l'œ; ritroviamo quindi una panoramico più completa delle convenzioni tuttora vigenti.

é ed ó si pronunciano chiusi come nelle parole italiane « vena » e « Roma >>. Es. pél (pelo), tór (torre).
è ed ò si pronunciano come nelle parole italiane « servo » e « scossa ».
Es. pèl (pelle), tòr (toro).

ö ed ü si pronunciano il primo come l’eu, il secondo come l’u dei Francesi. 
Es. blö (turchino) si pronuncia come il francese bleu; mür (muro) come il francese mur
j si pronuncia molto liquido come nell’italiano « jettatore ».
s e z tra due vocali si pronunciano sempre come l’s in « vaso ».
z non ha mai il suono che ha nella parola italiana « ozio ». Dopo una consonante, si pronuncia talvolta come nella parola « romanzo »: es. franza (frangia); più spesso come l’s in « denso »: es. pitanza (pie­tanza).
ss e  zz si pronunciano come l’s semplice nella parola « denso ». 
Es. passa (appassita); mazzada (mazzata) .
d e   v in fine di parola hanno rispettivamente il suono dit e dif. 
Es. crèd (crede), ciav (chiave); che si pronunciano: crèt, ciaf .
cc in    fine di parola ha il suono molle del c italiano in « bacio ». 
Es. macc (matti), récc (reti), visticc (vestiti).
s.ce,     s.ci si pronunciano staccando l’s dal c come si dovrebbe nelle parole italiane s civettare e s ciottolare.

Queste le regole di pronuncia dettate dal poeta per le precedenti edizioni di « Melodia », e poi integralmente stralciate per « Congedo ». 
A loro integrazione valga il seguente promemoria sulle particolarità morfologiche e fonetiche più notevoli.

 

Il bresciano appartiene al gruppo di dialetti che col Merlo preferiamo chiamare alto-italiani, anziché gallo-italici. 
Scarsi sono gli influssi prelatini rilevabili: le poche supposte basi celtiche, o trascurabili o scadute dall’uso e di puro ricordo toponomastico. Tenute perciò pre­senti le leggi della normale jonologia romanza, dobbiamo sottolineare le seguenti caratteristiche fondamentali: 
A) La caduta delle vocali atone finali: mar da mare; viv da vivum; tèt=tetto; rét = rete. 
Fanno eccezione: 
a: rana - pana - luna, ecc.; 
e: nei pronomi proclitici me-te-se e in riflesso di ae latina: ròbe . siure - rana, ecc. 
In comune con tutto il sistema lombardo: 
o   lungo tonico si riflette in u: dulur, padruna, culur, ecc. 
o   breve tonico si colorisce generalmente in ö: pozöl, növ, öv (uovo), ecc. In posizione, specie se la posizione risulta da r + consonante abbiamo di preferenza ó
:
                                st6rta, s6rta, m6rt, t6rt, ecc. 
u   lungo tonico viene generalmente riflesso in ü: mül (mulo); scüsa (scusare); tam­bür (tamburo), ecc. 
una dà però come esito öna e göna; raro esempio di metafonesi per efletto di a finale. Per le consonanti, si deve ricordare: 
a)  Il costante zetacismo antichissimo in terra lombarda e già vivo nel Patecchio che alterna cente - çente - zente.
b)  c intervocalico si cambia normalmente in zi e ze: piazer, dispiazér, donzéna, ecc. come pure in z si cambiano j latino e g iniziale: za < jam: züga < jocare, ecc; zèrla = gerla; zènt = gente. 
c)  La mancanza delle consonanti geminate: r6ta - stèla - mòla - stala - sèla, ecc. 
d)  Il farsi sibilante della palatale c, quando questa sia seguita da i e da e: séna per caena; sèner per cinere; sércol per circulo, séra per cera. 
e)  Il costante dileguo del v intervocalico latino e del normale riflesso romanzo del b intervocalico: caballus > caàl - extravacuare > straacà, traacà, ecc. 
f)  La dentale sorda intervocalica t, si riflette normalmente nella dentale sonora d: 
sedèl < sitello; didal < digitale, ecc.