Franco Fava

 

 L'11 maggio 2001 con l'amico Mario mi sono recato a Iseo per conoscere l'illustre poeta dialettale Franco Fava.
Non è stato difficile trovarlo, in piazza a iseo si nota all'istante il suo negozio di antiquariato sul quale è evidente l'insegna "ROBE ECIE". Bastava avvicinarsi a quella scritta ed entrare nella piccola bottega per trovare un saggio cultore della brescianità, un'umile personalità della nostra cultura dialettale. Appariva un piccolo nonnino simpatico, è lui.
Egli è nato a Iseo nel 1917... e subito vi svelo un colpo di scena ... da famiglia parmigiana, i suoi genitori erano di Colorno! Sono sicuro che siete rimasti stupiti, come noi della Faberbos quando, dopo due ore che parlavamo di dialetto e cultura della nostra provincia, il poeta ci ha rivelato la sua provenienza. Curiosa è a questo proposito la sua seguente poesia.

   ... BRESCIANITA'

   A mé, chè pèr sangh,
    pèr miòla e pèr lechèc
    g'harès dè sintìm
    ön parmesà,
    sè pèr caso mè scapès
    dè rìder
    quand' ch'i dìs
    chè dè lé mé robète
    sbilsa föra "la brescianità"
    pèr miga fa
    'na strassa dè figura
    mè tochères
    dè rìder èn bressà.

Conseguito il diploma di ragioniere all'istituto "Tartaglia" di Brescia nel 1937, dal novembre 1938 prestò servizio alla scuola allievi ufficiali del Corpo Automobilistico a Torino, poi nella divisione motorizzata Trento.
L'8 settembre 1943 fu catturato dai tedeschi in combattimento ad Appiano (BZ), fu deportato ed internato per 19 in sette diversi campi di concentramento per ufficiali italiani in Austria, Prussia, Polonia, Lussemburgo. Durante la prigionia fu uno dei più risoluti fautori di resistenza a tutte le forme di collaborazione proposte incessantemente dai nazisti. Si trovò quindi a far parte del nucleo ispiatore dell'opposizione, lui, il più giovane, a fianco di molti esponenti della cultura italiana. In quel periodo, trascinato dal suo temperamento e sostenuto dai suoi ideali, affrontò situazioni molto rischiose.
Nel campo di Biala Podlaska, al confine tra la Polonia e la Russia, le condizioni di vita erano durissime (-30° di temperatura, vitto scarsissimo e i soldati russi a pochi chilometri); in seguito a tali difficoltà 2340 ufficiali su 2400 in sole 48 ore aderirono alla Repubblica Sociale Italiana, per porre fine all'internamento. Franco restò con altri 59 "ribelli" . Per questo nel 1974 fu invitato a Biala Podlaska in occasione dell'inaugurazione di un cimitero e di un grande monumento dedicati ai militari internati italiani e ricevette, con altri due superstiti di quei sessanta, il distintivo di partigiano polacco onorario.
Venne liberato il 22 aprile 1945 a Wietzendorf. Il campo, occupato il 16 aprile da una compagnia inglese, poi ripreso il giorno dopo da un branco di farneticanti SS, si trovava in una landa del Luneburgo, dove i nazisti si illudevano di poter svolgere un'ultima decisiva battaglia con mezzi corazzati. Fu allora concordato estemporaneamente tra un colonnello tedesco ed il comando alleato del posto una tregua locale di otto ore per consentire il trasferimento degli ufficiali italiani nella poi tristemente nota Bergen-Balsen, fatta sollecitamente evacuare. I 12 chilometri da percorrere a piedi rappresentavano un immane sforzo, inadeguato alle residue energie dei prigionieri.
Giunto verso sera a Bergen, ad armistizio scaduto, Fava convinse a fatica un militare americano di colore, riluttante per le ostilità già riprese, a riportarlo indietro con il suo autocarro per circa 6 km per trarre in salvo un amico - il capitano Vittorio delle Cese, redattore capo del "Popolo di Brescia" - che stremato dalla fatica si era accasciato senza coscienza a lato della strada.
Rientrato in Italia alla fine dell'agosto 1945, non ha più ripreso gli studi universitari e ha trovato lavoro in un'azienda ferroviaria come capo del personale e poi come addetto alle pubbliche relazioni.
Nel 1949 si è sposato con Gianna Angeletti dalla quale ha avuto tre figli: Pierluigi, Mario ed Alessandro.
Dal 1950 al 12970 è stato impegnato nel partito socialdemocratico ricoprendo cariche pubbliche (consigliere, assessore comunale e sindaco pro-tempore. Ha inoltre collaborato a diversi periodici ed è stato anche corrispondente del "Corriere della Sera" e del "Giorno" per la zona del lago di Iseo.
Il temperamento vivace e le sue attitudini artistiche lo hanno spinto ben presto verso altri interessi: si è così dedicato alla pittura, alla scultura, alla grafica, alla fotografia e soprattutto alla poesia, ottenendo riconoscimenti anche a livello nazionale. Nel 1953 ha scritto la sua prima poesia in dialetto ("Tristèssa") per cui ha meritato il secondo premio al concorso "Gabriele Rosa"; l'anno dopo ha partecipato allo stesso concorso con cinque composizioni, vincendo il primo premio.
Nel 1960 ha aperto una galleria di antiquariato a Iseo, interessandosi precipuamente delle arti della figura.
Nel 1963 ha poi incontrato Giulio Vito Musitelli, un grande Maestro della pittura figurativa, quasi ignoto alla massa, anche se le Gallerie Vaticane ospitano sue opere. Era diventato il suo più caro amico: la frequentazione così assidua ed intensa di questo artista di vasta e profonda cultura umanistica fu fondamentale formativa per lui, specie  nel campo della storia e della critica dell'arte. Musitelli morì nel 1990.
Negli ultimi anni Franco Fava gestiva con il figlio Mario la galleria di antiquariato a Iseo, alternando all'attività di esperto di pittura e di arredare, lavori di restauro leggero di dipinti e di sculture, non tralasciando però le varie occupazioni suggeritegli dalle sue inclinazioni.
Morì nell'anno 2006.

Le sue poesie sono pubblicate nel libro "Talét dè sbrèl".

Dopo un ricco incontro animato da un comune amore per la brescianità e il dialetto egli ha lasciato la Faberbos con un prezioso, difficile, suggerimento:

"Per scrivere bene in dialetto, bisogna pensare in dialetto"