Testimonianze della Resistenza raccontate dagli alunni delle V elementari e I medie di Vobarno nell'Anno Scolastico 2000/2001
L’ESPERIENZA DEL NONNO BATTISTA (Classe V^ A)
Mercoledì il signor Battista, nonno del mio compagno Flavio, è venuto nella nostra classe e ci ha raccontato dei fatti accaduti durante la seconda guerra mondiale,
La Campagna di Russia - Il partigiano Battista ha iniziato il suo racconto con il viaggio in Russia, perché all’inizio della guerra era stato arruolato nell’esercito per la “Campagna di Russia”. Partirono in ottantamila e tornarono solo in seimila. Il nonno mente raccontava piangeva: "I Russi adottarono la stessa tecnica che avevano adottato contro Napoleone: visto che era inverno ci lasciarono li a morire congelati! La temperatura, pensate, era di circa 40 gradi sotto zero!”
La partenza - Partirono con la tradotta, un treno che caricava soldati e muli insieme da Torino con destinazione il fiume Don. Arrivati sul Don, piantarono l’accampamento in un’ansa del fiume, di fronte c’erano i russi e di fianco i rumeni,
L’accampamento - Il fiume era ghiacciato, la temperatura era sotto zero, i bresciani scavarono delle buche profonde nel terreno gelato per difendersi dalle schegge e dagli spari. La trincea era scavata nella terra e sopra i soldati avevano sistemato delle assi ricoperte di terra che per il freddo era compatta e dura come il marmo. Nella trincea avevano costruito stufe fatte con barili e scatolette di latta e per scaldarsi bruciavano tutti gli scarti che avevano.
Gli alpini erano vestiti con il loro cappello, una mantellina, una giacchetta, scarponcini chiodati e alcuni non tutti, avevano il giubbotto pesante.
“I nostri militari erano partiti con ai piedi scarpe di tela fissate con chiodi: quando pioveva le scarpe si allargavano ed entrava l’acqua; quando c’era freddo le scarpe si stringevano, procurando dolore ai piedi! Sopra la giacca indossavano un mantello di tela. (gli alpini dovevano fare la guardia fuori dai ripari e i militari che avevano i giubbotti li prestavano a coloro che non li avevano. Le guardie potevano stare all'esterno solamente per dieci minuti, altrimenti rischiavano il congelamento”.
La sacca del Don - Il russi il 17 gennaio 1943 avevano sfondato il fronte degli italiani che dovettero ritirarsi attraverso la pianura russa. Dovevano arrivare alla stazione della tradotta per ritornare in patria, ma le condizioni dei soldati ritardavano la marcia. Mangiavano ciò che potevano, anche la carne congelata dei muli morti o i tuberi che trovavano nel terreno ghiacciato.
La solidarietà - Il nonno Battista durante una battaglia venne ferito da una scheggia ad una gamba e non poteva più camminare, i suoi compagni trovarono una casa e lasciarono Battista al riparo e gli promisero che sarebbero tornati a riprenderlo. Il nonno Battista a quel punto pensava di essere finito, ma i suoi compagni, pur rischiando la vita, tornarono a riprenderlo. Durante il tragitto i soldati si fermarono in un villaggio russo ed una donna vide le condizioni della gamba di Battista. La buona signora russa si tolse le fasce dai propri piedi e fasciò la gamba del nonno, evitando così il congelamento. Questo fatto mi ha colpito molto e mi ha fatto riflettere che spesso non e la gente che vuole la guerra, ma le persone che sono al governo, infatti la buona signora russa ha aiutato un alpino italiano che aveva bisogno di cure, non tenendo conto del fatto che fosse un suo nemico.
Finalmente a casa - Dopo un lungo e faticoso cammino, finalmente i soldati decimati e stremati arrivarono alla stazione e salirono sulle tradotte, increduli di essere ancora vivi.
Arrivati in patria i soldati vennero accolti alla frontiera da migliaia di persone che si avvicinavano alle tradotte con le fotografie dei propri cari sperando di avere notizie.
Purtroppo le loro speranze rimanevano deluse. La tradotta non si fermò più fino a Pisa per evitare che si spargesse la notizia della disfatta.
Arrivati a Pisa i nostri militari furono accolti da camion blindati posti davanti alle porte delle tradotte perché nessuno potesse vedere le pietose condizioni dei pochi sopravvissuti.
In questo modo cercavano di nascondere che Mussolini aveva promesso agli italiani una grande vittoria mentre aveva ottenuto una grande disfatta! Nell’ospedale di Pisa i soldati vennero medicati e rifocillati. Poi, dopo un lungo periodo di cure, il nonno poté ritornare alla sua famiglia che dal 17 gennaio non aveva più ricevuto sue notizie. Era settembre quando tornò da sua madre!
Erano partiti in duecento tradotte e tornarono con dodici.
Da partigiano - Dopo l’8 settembre il nonno per difendere la sua famiglia dalle rappresaglie dei tedeschi, si arruolò nuovamente, ma appena gli fu possibile, si unì ai partigiani della Valle Sabbia.
Visse un lungo periodo sulle montagne assieme ad altri giovani, rischiando la vita ogni giorno. Quando i tedeschi si presentarono alla sua casa, la sua mamma con molto coraggio mostrava le lettere che Battista aveva scritto dalla caserma in cui si era arruolato. I soldati tedeschi controllavano il timbro e andavano via soddisfatti. Ancora oggi il nonno si ritiene un uomo fortunato per essere miracolosamente sopravvissuto ad una tragedia così grande. Il nonno durante il racconto si è commosso più volte fino alle lacrime!
Le nostre riflessioni - La solidarietà non ha confini. Il coraggio non ha limiti quando è sostenuto dalla fratellanza e dall’amore per la libertà.
SOLIDARIETÀ TRA NEMICI (Sara Galvagni V^ B)
Una volta mio nonno mi raccontò come alla fine della seconda guerra mondiale aiutò alcuni soldati tedeschi. Egli donò loro dei vestiti che li potevano salvare dalla rabbia degli italiani.
Questi tedeschi, infatti, non erano crudeli e durante la guerra avevano aiutato i partigiani a fuggire dagli attacchi tedeschi.
Liberandosi dalle uniformi i tedeschi poterono tornare a casa. Io sono molto fiera dell’azione che ha compiuto mio nonno, perché al posto di quei tedeschi ci potevano essere degli italiani.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE (Cristina Amadei , classe V^B)
Un’amicizia nata in tempo di di guerra.
Mio nonno Giovanni è stato per sei anni nella V armata, plotone degli Arditi, a Legnano. Ha avuto molte amicizie, soprattutto quella di un tenente comandante che con lui ha girato per la Sicilia e la Calabria. Si sono fermati nella caserma di Caserta. Con lui nella seconda guerra mondiale è stato prigioniero degli amencani. E' passato per Montecassino, Bologna e Roma, dove ha preso la benedizione di papa Pacelli. Ha attravesato tante altre città fino ad arrivare a Castione della Presolana vicino a Bergamo dove ha conosciuto una ragazza che oggi è la nonna. Di tutti questi viaggi e trasferimenti lui ha alcune testimonianze e fotografie che lo ritraggono con alcuni suoi amici.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE (Andrea Colotti, classe V^B)
Durante la seconda guerra mondiale mi raccontava mio nonno che sia lui che suo fratello erano al fronte e si sparavano uno contro l’altro. Mi raccontava anche che avevano paura dei tedeschi e si nascondevano sulle montagne. Fortunatamente mio nonno è sopravvissuto alla guerra ed è potuto tornare a casa come pure suo fratello.
E così hanno scoperto che si trovavano al fronte uno contro l’altro. Così mi raccontava.
Mio nonno materno, che fortunatamente non ha finto la guerra perché era più giovane di un anno (si dovevano avere diciotto anni), faceva il meccanico e aggiustava le Balilla.
Purtroppo era costretto ad aggiustare anche le macchine dei nemici.
RICORDI DI GUERRA (Veronica Francinelli, classe V^ B)
Vobarno, 5 aprile
Carissimi amici,
oggi volevo raccontarvi un fatto accaduto durante un bombardamento della seconda guerra mondiale.
Eccolo: era una mattina del 1944 e, come ogni giorno, un ragazzo si recava in via Cesare Battisti per lavorare il suo campo.
Ad un tratto, i cacciabombardieri tedeschi cominciarono a lasciar cadere il loro carico di morte.
Subito il ragazzo, vedendo le bombe e quattro bambini che si trovavano nei paraggi li prese e lì portò nell’allora stazione dei tram.
Non sapendo dove nasconderli, li fece andare sotto le gabbie dei conigli. Finito il bombardamento, tutti e quattro i bambini ed il ragazzo erano salvi. Uscendo di nuovo all’aperto si accorsero che, dove prima stavano lavorando e giocando, era pieno di schegge di bombe.
Allora capirono che se erano ancora vivi era tutto merito del ragazzo che li aveva condotti in salvo. Ancora oggi, quando si incontrano per le strade di Vobarno, si ricordano di quei terribili momenti, sentono la felicità di ritrovarsi e provano tanta riconoscenza per quel gesto che ha loro salvato la vita. La storia finisce qui e vi lascio con un grandissimo saluto.
INTERVISTA SULLA SECONDA GUERRA MONDIALE AD UN SOLDATO DELLA MARINA IMBARCATO SUI SOMMERGIBILI (Luca Menasio, classeV^ B)
L - Signor Badiani, che cosa ricorda della seconda guerra mondiale?
B - Dal mio punto di vista, la guerra è cominciata perché le nazioni coloniali, Inghilterra e Francia, negarono alla Germania di riavere i territori nazionali dell’Africa che durante la prima guerra mondiale aveva perso. Successivamente la guerra si estese in tutto il mondo anche all’America e al Giappone. lo l’ho combattuta nei sommergibili e nei mezzi speciali della Marina Italiana. Penso che abbiamo perso perché Germania, Italia e Giappone erano in assoluta inferiorità di mezzi e di armi anche se non lo erano nello spirito! lo che l’ho vissuta, penso che avendola persa noi abbiamo potenziato il comunismo fino alla sua evoluzione. Dalla mia esperienza ho capito che la guerra è la cosa più disumana e incivile che si possa immaginare e va assolutamente evitata.
UN EPISODIO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE (Chiara Cherubini, classe V^B)
La nonna, che è toscana, mi racconta spesso, quando vado a Grosseto in villeggiatura, alcuni episodi della seconda guerra mondiale. In quei momenti i suoi occhi si riempiono di lacrime al ricordo della paura vissuta.
Tra quei momenti un episodio è più vivo perché veramente ebbe tanto timore per la sua vita. Durante la seconda guerra mondiale, precisamente nel 1944, gli americani, dopo lo sbarco di Anzio, avanzavano e scacciavano i tedeschi che avevano invaso l’Italia. Questi, mentre si ritiravano, ne combinavano di tutti i colori, talvolta anche atrocità: bruciavano tutto ciò che trovavano sulla loro strada e uccidevano coloro che tentavano di ostacolarli. La famiglia della mia nonna, la sua mamma, i fratelli, i nipotini piccoli si erano rifugiati, come molti altri, in collina, lontano dalle strade principali e dalle città e precisamente a Vetulonia, un’antica città etrusca non lontano da Grosseto. Il mio bisnonno era guardiano degli animali in un’azienda dello Stato. Poiché le mucche dovevano essere munte altrimenti avrebbero sofferto, per questo motivo era rimasto nella loro casa vicino a Grosseto insieme alla mia nonna che aveva dodici anni, per fargli compagnia. Quando i tedeschi si avvicinarono, il bisnonno chiamò la mia nonna per scappare via, raccolsero le poche cose e fuggirono per i campi. I tedeschi li videro e spararono, loro si buttarono in un fosso, ma furono raggiunti e con i fucili puntati furono incitati a camminare; in lontananza sentivano il muggito delle mucche. La paura era tanta, il bisnonno stringeva la nonna per farle coraggio e per sorreggerla. Furono condotti al comando dove alcuni militari li perquisirono, frugarono nelle poche cose che avevano. Dopo aver visto che non c’era nulla di interessante e che quella era povera gente, li lasciarono andare via. La nonna mentre era al comando pregava perché non pochi erano i casi di persone che forse si erano ribellate ed erano state uccise. Nessuno dovrebbe mai commettere questo terribile delitto! Come Dio volle, poterono raggiungere la famiglia a Vetulonia. La nonna, appena fu tra le braccia della sua mamma, si senti male e svenne. Come ho scritto all’inizio, ancora oggi la nonna si emoziona e ci racconta sempre di amare il prossimo e di pregare perché finiscano le guerre perché la pace è bella, come è bella la libertà.
UN OSPITE SPECIALE (Chiara Carenini, classe V^A)
Sicuramente i fatti di solidarietà accaduti nel periodo della seconda guerra mondiale saranno innumerevoli, ma purtroppo, molti dei protagonisti sono ormai scomparsi, per cui non è facile raccogliere testimonianze dirette. L’episodio che sono riuscita a scoprire è stato vissuto dalla famiglia di mio nonno materno verso l’inizio del 1945.
Il mio nonno abitava in Carpeneda, in una modesta casa che dava direttamente sulla strada.
Un giorno si trovò a passar di li un giovane di Belprato fuggito dall’esercito fascista e che quindi era considerato disertore.
Questo ragazzo voleva unirsi ad un gruppo di partigiani del suo paese, ma, essendo quasi sera, capì che non ce l’avrebbe fatta prima dell’imbrunire; per questo motivo chiese ospitalità. Venne accolto senza indugio, anche se i miei bisnonni sapevano che avrebbero dorso dei rischi. Lo rifocillarono e, non potendo offrirgli una stanza tutta per lui. Lo sistemarono in cantina fornendogli una coperta e dei cuscini.
La mattina dopo, all’alba, dopo una buona dormita, ringraziò di cuore approfittando del passaggio di una carretta che trasportava legname, si rimise in viaggio. I miei bisnonni furono molto fortunati perché, dopo non molto tempo, passò una pattuglia fascista che volle ispezionare la casa; non trovando nessuno! Se ne andò senza pretese.
RACCONTO SULLA SECONDA GUERRA MONDIALE (Veltri Tanial, classe V^ B)
I tempi della seconda guerra mondiale non si può dire che fossero facili, al contrario vi erano molte difficoltà. La mia mamma mi ha raccontato che le persone, non avendo da mangiare, addirittura rovistavano nella spazzatura alla ricerca di qualcosa da rimediare, forse, la cena con qualche mela trovata o qualche buccia di qualsiasi frutto. A quei tempi non esisteva l’egoismo, non poteva esistere! Addirittura fra vicini di casa ci si prestava vestiti, farina, qualche golfino per tenersi caldo durante l’inverno. Tutti, soprattutto i bambini, si scambiavano quel poco che c era: qualche sciarpa, piccoli giocattolini di legno, una o due mele.
Noi da questo racconto dovremmo capire che bisogna accontentarsi di quello che si ha e non avere troppe pretese e naturalmente essere generosi con gli altri.
QUESTO HO CAPITO (Classe V^C)
La guerra è
spari, boati, ferite, pianto, dolore.
La guerra è muri sbrecciati,
fame, grida, lacrime mute.
La guerra è buio e paura,
la guerra è mode.
Questo ho capito, ne sono sicuro, la guerra è dolore, ma
rischiara quel buio e riscalda il cuore
una parola speciale: solidarietà.
UN EPISODIO DL SOLIDARIETÀ (Andrea Mainetti, classe V^ B)
Mio nonno mi ha raccontato che nel 1942 parti per la guerra e si imbarcò a Palermo per la Tunisia sulla nave “Aventino” con ottocento soldati. Arrivati in alto mare, giunsero gli inglesi che iniziarono a bombardare la loro nave. Il nonno era arruolato nel primo battaglione guastatori. La notte del 10 dicembre 1942 la nave fu affondata. Degli ottocento soldati solo cinque sopravvissero: mio nonno, con una ferita al braccio, e altri suoi quattro compagni. Riuscirono ad aggrapparsi a un resto della nave distrutta. Rimasero in acqua per diciotto ore, poi sopraggiunse una nave italiana che li mise in salvo. Arrivati al porto tolsero loro i vestiti perché erano inzuppati di nafta. Un vecchietto passando di lì vide mio nonno sdraiato su una panchina, svestito e tremante dal freddo. Viste le sue condizioni si fermò e lo copri con il suo mantello. Così il nonno poté scaldarsi mentre aspettava il trasporto in ospedale. Trascorse un mese all’ospedale militare di Trapani, un mese in quello di Palermo, quattro a Siena e sei a Brescia. Ritornato a casa non aveva ancora il braccio in buone condizioni, Ancora oggi egli percepisce la pensione per il danno subito al braccio. Ancora oggi gli è rimasto nel cuore il vecchietto che gli donò il suo mantello per riscaldarsi.
TESTIMONIANZA DELLA SECONDA GUERRA MONDLALE (Savoldi Alessandra, classe V^C)
La mia bisnonna è nata nel 1909: è quindi testimone di alcuni fatti avvenuti durante e dopo la seconda guerra mondiale. Mi racconta che erano molto poveri, non avevano nemmeno il sapone, cioè l’avevano, ma era talmente duro che non riuscivano a usarlo. Mi narra che usavano un solo vestito: in estate gli toglievano le maniche e in inverno le riattaccavano. Usavano fare ciò perché mancavano i soldi per comprare altri abiti, calzavano zoccoli di legno. C'era la tessera del pane che scarseggiava ogni giorno di più. Per ciò che riguarda la farina, se la passavano usando biciclette su cui trasportavano questa merce di... "contrabbando”. La mia bisnonna Rita mi rammenta anche che aveva come vicina di casa una donna a cui si era ammalato il marito. Rita le lavava i panni, ma soprattutto l’aiutava a tenere la casa in ordine e a stirare, cosicché avesse più tempo per il marito malato, Mi racconta anche che una volta a pranzo era suonato l’allarme, così prese mia nonna, la ricoprì con una coperta e corse al rifugio, ma si ripromise di non tornare più perché era molto più pericoloso li che non all’esterno. Si ricorda anche che una sua vicina di casa aveva ospitato una famiglia che si chiamava Gorini e dopo la guerra erano riusciti ad aiutarli a tornare a casa loro, in Toscnìa. Tempo dopo andò pure a trovarli. La mia nonna Anna ha un vaso che questa famiglia le ha donato quando si è sposata, in segno di gratitudine. La mia bisnonna Beta, mamma di mio nonno Giuliano, fu altrettanto solidale con gli americani che un giorno arrivarono in casa sua e vollero farne un quartier generale. Loro purtroppo non la ricambiarono, anzi andandosene portarono via persino il tavolo. Noi in famiglia ogni tanto ridiamo ancora del “tavolo degli americani’.
DUE RAGAZZI CORAGGIOSI SALVANO 40 PARTIGIANI (Marco Facchini - V^ C)
Questa mattina, a scuola, abbiamo ascoltato l'intervista fatta dal nostro compagno di classe Marco a suo nonno Nicola che nel lontano giugno 1944 salvò 40 partigiani da un rastrellamento di “Repubblichini’.
Ecco come si svolsero i fatti: Nicola di 12 anni e suo fratello Luigi di 16 quel giorno, come di consueto, si stavano recando sul monte in cerca di legna per il fuoco. Giunti in Piana del Tola, località sopra Pompegnino, videro sdraiati, anzi addormentati sul sentiero che porta alla Fobbia (vicino alla Madonna della Neve) un gran numero di uomini, seppero solo più tardi che erano ben quaranta, si riposavano dopo aver recuperato le armi sganciate da un aereo alleato.
I due fratelli capirono subito che si trattava di partigiani poiché gli uomini sul sentiero erano giovani. armati con mitragliatori, ma senza divisa.
Nicola e Luigi li scavalcarono, camminarono senza far rumore per non svegliarli. Quando si furono allontanati dal gruppo di poche decine di metri videro che, a duecento metri sotto di loro, una pattuglia di repubblichini saliva le pendici del monte, i soldati disposti a ventaglio rastrellavano la zona.
I ragazzi sapevano che se i militari avessero catturato i partigiani questi avrebbero fatto una brutta fine: fucilati o mandati in campo di concentramento in Germania, allora i due coraggiosi fratelli rapidamente tornarono sui loro passi e avvisarono i partigiani, che raccolte le armi, si nascosero nel bosco.
I due ragazzi continuarono la loro strada, fingendo non fosse successo nulla; mentre raccoglievano rami secchi tendevano l’orecchio per ascoltare i rumori del bosco, non sentirono né urla, né spari, forse quei partigiani erano tutti salvi!
Solo dopo mezz’ ora, dopo aver fatto una fascina di legna, i due ragazzi tornarono a casa e seppero che i partigiani erano salvi, infatti sulla strada videro i repubblichini che si riposavano dalla fatica del lungo e infruttuoso rastrellamento ne! bosco.
I due ragazzi pensarono che se i repubblichini avessero saputo che i partigiani si trovavano a soli cinquanta metri da quel luogo, non sarebbero sicuramente rimasti a riposarsi.
Tornati a casa, i due ragazzi raccontarono il fatto ai genitori che si rallegrarono sapendo che nessun partigiano era stato catturato, ma decisero di non farne parola con nessuno poiché Nicola e Luigi, se fossero stati scoperti, sarebbero stati arrestati.
RITORNO A CASA (Classe V^C)
La nonna mi raccontò la storia di solidarietà vissuta da suo papà durante la seconda guerra mondiale.
Era l‘8 settembre del 1943, quando il re con il generale Badoglio, all’insaputa degli alleati tedeschi, firmò l’armistizio, cioè una tregua della guerra, con i nemici (Americani, Inglesi e Francesi).
Gli ufficiali non diedero più ordini ai soldati e fuggirono per mettersi in salvo.
Si venne a creare una gran confusione, anche i soldati scapparono e cercarono di tornare a casa attraverso i monti e la campagna.
Così fece anche il mio bisnonno che proprio in quel momento si trovava in Croazia.Attraversò a piedi i monti, sfamato talvolta dai contadini, finché giunse a Trieste, dove, insieme ad altri finì catturato dai Tedeschi che li radunarono in un vasto spiazzo per poi portarli come prigionieri in Germania. Un mattino tutti i prigionieri vennero avviati verso la stazione ferroviaria di Trieste, con destinazione campo di concentramento in Germania. Alcuni soldati tentarono di scappare, ma furono uccisi.
Lungo la strada, mentre marciavano, furono affiancati da alcune signorine che, con la scusa di offrire loro delle immagini di santi, suggerirono ai soldati di scappare, indicando un grande portone.
Il mio bisnonno accettò l’invito e, sperando di non essere visto dalle guardie, ad un segnale stabilito scappò e tale fu la spinta che scivolò diritto dentro il portone di un vecchio palazzo, nel centro di Trieste.
Nella notte venne un signore a prenderlo per nasconderlo a casa sua.
Il nonno temeva di essere caduto in trappola, invece fu accolto dalla famiglia, rifocillato, pulito, gli misero a disposizione un letto e un nascondiglio.
Con la collaborazione di altre persone, gli procurarono una nuova carta di riconoscimento, necessaria per il ritorno a casa, e o vestirono con l’unico vestito che quel signore, di cui non seppe mai il nome, aveva ancora nell‘armadio: non ne possedeva più, perché aveva aiutato altri soldati a scappare.L’armadio ed il cassettone ormai erano vuoti
Dopo alcuni giorni, il figlio di quel signore lo accompagnò alla stazione, gli comprò un biglietto per Brescia e gli consegnò un pacchetto di viveri, augurandogli buona fortuna.
Non solo quella famiglia, ma disse il nonno che tutti gli abitanti di Trieste si prodigarono in mille modi, per aiutare i soldati italiani, a costo di privarsi di tutto e di correre molti rischi.
Infatti erano tempi difficili perché prima eravamo alleati dei Tedeschi, ma con l’armistizio li avevamo traditi ed essi catturarono i nostri soldati e chi li nascondeva veniva fucilato.
ROSINA: UNA DONNA SPECIALE (Gobbi Alessandro, classe V^B)
Dal settembre 1943 cominciarono ad organizzarsi in Italia alcuni gruppi che si opponevano al regime fascista; una dittatura che negava ogni forma di libertà e che aveva portato l’Italia in guerra. I componenti di questi gruppi, in alcuni casi combattenti in altri casi dediti alla propaganda contro il regime (affermando la verità su come stava andando la guerra e le sconfitte subite dal nostro esercito) si chiamarono partigiani.
Anche nella nostra Valle Sabbia si svilupparono le organizzazioni partigiane: nella valle di Collìo, a Provaglio, nei dintorni del lago d’ ldro ed in Pertica Bassa, alle pendici della Corna Blacca.
Vorrei raccontarvi un episodio significativo vissuto in Pertica Bassa.
Un territorio molto vasto, quasi privo di strade, raggiungibile dalla VaI Trompia, sovrastante il lago d’ldro con molti fienili e cascinali è stato un luogo ideale per l’insediamento di gruppi partigiani.
Gli abitanti della zona, nonostante i rischi, si dimostrarono molto disponibili nell‘offrire ospitalità ai “Ribelli”. Tra gli abitanti di Forno D'Ono, una donna si distinse in modo particolare nell’aiuto ai partigiani.
Rosina, questo era il suo nome, approfittando abilmente della sua professione di postina faceva da collegamento tra le varie formazioni partigiane presenti nella zona, le teneva informate sugli spostamenti dei fascisti e dei tedeschi e portava loro rifornimenti e cibo.
Durante un combattimento un partigiano jugoslavo fu ferito in località Ono Degno. Si trattava del professore universitario Dimitrije Paramendic.
Le condizioni del ferito erano gravi. Non si poteva certo portarlo in un ospedale perché sarebbe stato subito arrestato.
La nostra Rosina, aiutata da tanti compaesani affrontando grossi rischi e dividendo con il ferito quel poco che aveva, ospitò Dirnitrije a casa sua per lunghi mesi finché, rimessosi in forze, riprese la vita dì ribelle tra i suoi compagni in montagna.
La storia non finisce qui. A guerra finita Dimitrije non dimenticò chi gli era stato tanto prezioso da salvargli la vita. Furono frequenti le sue visite a Forno D'Ono ed i viaggi di nostri valligiani a Belgrado. Anche a Dimitrije Paratnendie, artista scultore e pittore, si deve molto per la realizzazione del museo della Resistenza e del folklore valsabbino che c’è a Forno D’Ono.
CARO DIARIO...(Samanta Brentegani e Elena Galvagni, classe 5^C)
Caro diario, a scuola in questi giorni si è parlato di guerra, di resistenza, abbiamo ascoltato le testimonianze di alcuni partigiani. E stato interessante e istruttivo.
La maestra ci ha chiesto di intervistare persone che hanno vissuto durante la seconda guerra mondiale per scoprire se, di quel triste periodo, conoscono episodi di solidarietà.
Mi ha stupito sentire che molte persone, pur avendo poco, erano disponibili ad aiutare, la solidarietà era diffusa, ora molto meno.
La testimonianza che mi è piaciuta di più è quella che ha portato il mio compagno di classe Marco, gliel’ha raccontata suo nonno Nicola che l’ha vissuta da protagonista.
Il signor Nicola, che nel 944 aveva circa la nostra età 11-12 anni, uno degli ultimi giorni di giugno stava andando a tagliare la legna sul monte, come era abitudine dei ragazzi di quel periodo.
Nicola era con suo fratello Luigi, parlavano del più e del meno, quando videro in mezzo al sentiero, che da Pompegnino porta alla Fobbia, dei partigiani addormentati, li avevano riconosciuti dalle armi e perché erano senza divisa.
I partigiani erano stanchi perché avevano camminato tutta la notte per recuperare delle armi lanciate dagli aerei alleati.
Nicola e suo fratello, dopo aver superato i partigiani, videro un gruppo di repubblichini che stavano cercando i partigiani per catturarli. Allora, spinti dalla visione di quei partigiani catturati e torturati, senza pensare al pericolo che correvano, tornarono veloci sui loro passi, svegliarono i partigiani e li avvertirono della pattuglia, i partigiani scapparono.
Nicola e Luigi proseguirono con la coscienza a posto e in cuor loro speravano che si fossero messi in salvo.
A sera Nicola e Luigi tornarono a casa, preoccupati, ma contenti di non aver sentito alcuno sparo, speravano si fossero salvati.
Seppero poi che i repubblichini non avevano catturato alcun partigiano durante il rastrellamento.
Luigi e Nicola furono molto soddisfatti, raccontarono il loro gesto ai genitori. Questo episodio mi ha colpito perché non pensavo che un ragazzino di 12 anni, non avesse avuto paura di essere poi, catturato dai repubblichini.
Caro diario questo fatto non colpisce anche te? Ci sentiamo domani!
Ciao!
LA RESISTENZA PARTIGIANA Testo su un’azione di solidarietà fatta da un partigiano (Andrea Lancini, classe I^A)
Caro nonno Ivo,
purtroppo ora non ci sei più, ma attraverso la mamma io Conosco molto di te.
So che hai fatto la Resistenza e che il tuo nome di battaglia era Tarzan. Quante peripezie dopo quell’8 settembre1943, quando eri sotto le armi come allievo carabiniere.
Nel maggio del 1944 ritornasti a Barghe e ti desti alla macchia nella zona di Pertica Bassa. Qui incontrastì altri partigiani e accettasti di entrare nel gruppo delle Fiamme Verdi. Nell’estate del 1944 partecipasti all’assalto della caserma dei carabinieri di Vestone per liberare i tuoi amici. Travestito da carabiniere cercasti di confondere i veri carabinieri rischiando di essere fucilato. L’assalto purtroppo non riuscì, i tuoi amici non vennero liberati, ma tu ti salvasti.
Il 12 marzo 945 ti arrestarono. Dal carcere di Brescia ti portarono al carcere di Bolzano ed evitasti per poco di essere deportato in Germania. Ritornasti a Barghe il 1 maggio 1945.
Caro nonno, per me sei stato e sarai sempre una persona speciale. Mi dispiace di non averti potuto intervistare, ma la tua storia io l’ho nel cuore.
Grazie nonno per quello che hai fatto per noi!
LA NONNA MI HA RACCONTATO... (Dini Riccardo, classe I^A)
Sono Vittoria e ho vissuto il periodo della Resistenza nascondendomi nella mia casa. Dovevo badare alla tua mamma e ai tuoi fratelli e insieme a loro quando passavano gli aerei nemici mi nascondevo in cantina e portavo loro le provviste di cibo.
Per prendere un po’ di farina non bisognava farsi vedere, se no ti uccidevano.
Mentre pregavo perché non trovassero i miei figli. Gli aerei volavano sopra le case di Roè, soprattutto per distruggere il deposito di armi che c’era a pochi chilometri e lanciavano bombe sui treni carichi. Conoscevo molte ragazze con il moroso fascista che venivano punite dai partigiani tagliando loro i capelli a zero.
Io mi ritenevo fortunata di non avere il moroso fascista cosi almeno non dovevo tagliarmi i miei lunghi capelli.
LA NONNA RACCONTA (Taddeolini Greta e Buffoli Alicc, classe 1^A)
La seconda guerra mondiale non fu una guerra di trincea, ma d’azione, che coinvolse anche Vobarno.
In quel tempo, io e la mia famiglia abitavamo in paese, ma da maggio ad ottobre ci trasferivamo in una casa dì montagna.
La casa era in pietra e vicino c’era un fienile, anch’esso in pietra. Nel prato c’era e c’è, un castagno enorme, detto la ‘Vrangina”, così grande che servivano 12 uomini per abbracciarlo.
L’albero ha una cavità, che è stata provocata da un fulmine, che era usata come pollaio.
In quell’anno, i fascisti fecero il rastrellamento e mio padre andò in paese a prendere i partigiani che si erano salvati per nasconderli. Era un grosso rischio, perché se veniva scoperto i tedeschi potevano uccidere i figli maschi, mandare la famiglia nei campi di concentramento oppure uccidere la famiglia intera, di giorno i partigiani stavano nascosti in una grotta e mia mamma portava loro il cibo, di notte, invece, andavano a dormire nel fienile. Mio padre non venne scoperto e, dopo la guerra, i partigiani si ricongiunsero ai loro compagni.
L’ESPERIENZA DI MIA NONNA (Roberto Tavernini, classe 1^A)
Nel ‘44 avevo sei anni. Abitavo in una casa vicino alla chiesa, in via Prandini, Qui c’erano delle vecchie prigioni che gli abitanti usavano come cantine. Poi c’era una finestrella che si affacciava sulle scale della mia abitazione.
I bambini guardavano attraverso di essa, perché all’interno c’era un prigioniero tedesco, a cui mancava un braccio.
Questo ragazzo piangeva sempre, perché aveva molta fame. Allora io e mio fratello Aurelio gli portavamo da mangiare, pane e acqua, poi di nascosto prendevamo le uova dai pollai e di corsa gliele portavamo.
Lui allungava la mano fuori dalla finestra e, con le lacrime agli occhi, ci ringraziava.
Una mattina ci alzammo lo andammo a trovare, ma lui non c’era perché i fascisti l’avevano portato con sé alla “Casa del fascio” dove oggi si trova la sede dell’U.S.S.L.
GLI AMERICANI A VOBARNO (Roberto Tavernini, classe 1^A)
Una volta, dove ora ci sono le scuole elementari “Giorgio Enrico Falck”, c'erano gli accampamenti degli americani.
Io andavo a trovarli con un padellino in mano, per farmi dare da mangiare. Loro mi davano la minestra che era dolce perché tino dei suoi ingredienti era lo zucchero.
A me la minestra non piaceva, allora dicevo:
“No, cicio, cicio”.
Così mi diedero la carne.
Finito di mangiare uscii dal cancello, e vidi un americano che piangeva. Gli andai in parte e lo consolai.
Era triste perché anche lui aveva una famiglia, che purtroppo viveva lontano da lui per stare al sicuro.
Dopo poco tempo mi prese in braccio e mi portò nella sua tenda. Con il vestito mi fece fare un fagotto, successivamente aprì un grande contenitore il quale conteneva tantissime caramelle.
Ne prese una buona quantità e me lo riempì. Poi arrivò un bellissimo giorno, quello della mia comunione.
Andai subito a riferirlo agli americani, ero diventata per loro quasi una figlia.
Un americano anziano mi chiamò, mi portò all’interno della sua tenda. Mi regalò la stoffa del paracadute.
Poi una amica di mia mamma mi regalò una striscia di fiori di pesco, per sostenere il velo del vestito che mia mamma fece con la stoffa di paracadute. Quando il vestito fu finito, andai dagli americani a mostrare come stavo bene vestita elegantemente.
Un americano, siccome era soddisfatto di me mi regalò 5 lire. Poi mia mamma venne a prendermi, salutammo e ringraziammo gli amecani; andammo a casa.
MI SONO SALVATO GRAZIE A UN AMICO DI VESTONE (Alessandro Galvagni, classe 1^A)
- Nonno, mi racconti che cosa hai fatto negli ultimi giorni della guerra?
- Devi sapere che io ero troppo giovane per partire soldato, ma che i tedeschi mi avevano preso ugualmente per mandarmi a lavorare su in Trentino, che allora era un territorio che dipendeva direttamente dai tedeschi. Negli ultimi giorni di guerra, quando ormai i partigiani e gliamericani erano vicini, i tedeschi si prepararono a scappare. Cosi ci lasciarono liberi di tornare a casa.
Anch'io quindi venni giù da quei paesi, Roncone, Lardaro, verso la Val Sabbia. Quando arrivai a Vestone, in piazza c’era molta gente inferocita che aspettava passassero i soldati repubblichini (cioè i fascisti della Repubblica dì Salò) per catturarli e fare giustizia. A un certo punto un signore di Vestone, vedendo che ero una faccia sconosciuta pensò che anch’io fossi un fascista, io non sapevo che rispondere e come farmi credere. Per fortuna a un ceno punto si fece avanti uno di Vestone che era stato con me a lavorare sotto ai tedeschi e spiegò che io con i repubblichini non c’entravo proprio. E così mi lasciarono andare e tornai a casa mia.
Sai, Alessandro, la guerra è una gran brutta cosa!
OTTOBRE 1943: LA BISNONNA RACCONTA (Giulia Galvagni, classe 1^A)
Molte famiglie della Bassa bresciana vivevano coltivando la terra lungo le rive del fiume Oglio.
Le condizioni di vita erano misere, il cibo bastava per pochi e in più il regime fascista pretendeva una buona parte dei raccolti e degli animali allevati dai contadini.
Uno di questi era Giacomo Sansoni, mio marito. Tutti i giorni si recava al fiume per lavorare e, in una mattina nebbiosa, notò delle persone che, dietro ad alcune piante, cercavano cibo. Vedendoli affamati, li invitai a casa. Li rifocillai e, dopo che si furono ripresi, mi accorsi che erano soldati inglesi: capii dì essere in pericolo, perché i fascisti avrebbero potuto fucilarci tutti.
Insieme ad altre due famiglie, per due anni, li proteggemmo e li sfamammo, nascondendoli nei vari fienili della zona.
Se un fascista controllava un fienile occupato dai soldati, mio marito e i suoi amici li facevano scappare per mandarli in un altro nascondiglio. Nell’aprile del 1945, la fine della guerra e la liberazione dai campi di concentramento, portarono anche la liberazione dei soldati nascosti per un lungo periodo.
Due di questi soldati inglesi tornarono dopo venticinque anni a ringrazlare i loro protettori e, poiché loro erano vissuti tanto tempo in Italia, a Pontevico, avevano imparato anche alcune parole del dialetto bresciano.
CARO LUIGI... (Caldani Alice, classe 1^A)
Caro Luigi,
La nostra storia, pur essendo di tanti anni fa, non l’ho mai dimenticata, mi ricordo i tuoi racconti di quando eri militare e trasportavi con dei camoncini la benzina.
Tu avevi paura perché i tedeschi e i fascisti sparavano al tuo camioncino e così un bel giorno avevi deciso di scappare e sei andato dai partigiani di Provaglio, ma...poco dopo sono stati fucilati tutti e così ti sei venuto a rifugiare nel mio paese.
Poi ci siamo conosciuti e ci siamo sposati.
Il nostro amore è durato per ben 49 anni: non lo dimenticherò mai.
Cogo Margherita
TESTIMONIANZA DI SOLIDARIETA (Pasini Lorenza, classe I^A)
Nel luglio del 1943 gli Alleati (Americani, Inglesi e Francesi) sbarcarono in Sicilia, il re Vittorio Emanuele III chiese un armtstizio.
Poteva essere la fine della guerra, ma Mussolini, con l’aiuto dei Tedeschi, fuggiva in Alta Italia (Repubblica di Salò) e riorganizzava le poche forze rimastegli fedeli; il Re e il Governo si rifugiarono nell’Italia meridionale sotto la protezione degli Alleati.
L’esercito italiano non seppe più cosa fare. Molti soldati cercarono di tornare alle loro case, altri furono catturati dai Tedeschi e inviati in campi di concentramento in Germania. Altri ancora andarono sulle montagne, nei boschi o si nascosero nelle città per combattere una più giusta guerra: la guerra partigiana.
Mio nonno, allora sedicenne, mi ha raccontato alcuni aneddoti, ma sicuramente uno in particolare mi ha colpito. Non solo per i soldati italiani si venne a creare una gran confusione, ma anche per i molti soldati tedeschi ci fu un rifiuto di questa guerra.
E così una notte un giovane chiese aiuto ai miei bisnonni. Era stanco, affamato, a piedi scalzi e sanguinanti edera tedesco. Proprio in quel periodo i nonni ospitavano una famiglia di Tormini la cui casa era stata bombardata e la signorina capiva il tedesco; fece da interprete e disse che quel soldato veniva da Cassino era stanco di combattere e voleva tornare in Germania. Pur sapendo il rischio che correva, da parte non solo dei tedeschi se l’avessero trovato, ma anche da parte dei partigiani, i nonni lo curarono. La notte lo facevano dormire nel fienile per meglio nascondersi fino a quando si ristabilì e ripartì.
Fu sicuramente un aiuto di grande generosità da parte dei miei bisnonni se si pensa che un loro figlio era prigioniero in America e l’altro, mio nonno, era in un campo di concentramento in Iugoslavia con destinazione (se non avesse avuto il coraggio di scappare) Germania.